dal Corriere Adriatico del 7 Marzo 2022
Da quasi due settimane l’Ucraina si sta difendendo dall’invasione ordinata da Putin. Sembrava impossibile e pure è accaduto. Da due settimane siamo ripiombati nel secolo passato, ci siamo tornati con Twitter, Facebook e Tik Tok, con la possibilità di condividere immagini e testimonianze di chi sta vivendo la guerra. Condividiamo bombardamenti di case, di ponti, di strade. Osserviamo l’esodo dall’Ucraina di migliaia di persone che scappano dalla guerra, come avvenne in Italia durante la Seconda guerra mondiale, con tanti “sfollati” in fuga dalle città. Un esodo simile ai tanti degli ultimi anni dall’Africa e dal Medio Oriente, con flussi migratori inarrestabili. Le immagini delle città ucraine ricordano le immagini di distruzione che abbiamo visto ad Aleppo con migliaia di profughi siriani, intere famiglie in fuga per raggiungere l’Europa per mare e per terra. Famiglie a piedi lungo interminabili binari per trovare pace in Europa.
Non voglio entrare nelle cause che hanno favorito la guerra, ma forse alcune azioni di mediazione, di relazione, di confronto potevano ancora essere cercate. Certo, la decisione è stata unilaterale ma poco è stato fatto per evitarla. Occorre riprendere il confronto per cercare una soluzione prima che il conflitto degeneri con distruzioni e perdite di molte altre vite. Non è facile, perché altrimenti sarebbe già stato avviato, ma va cercato con la stessa forza e determinazione con cui sono stati approvati gli aiuti militari a Kiev. Per “costruire la Pace”, occorre prima crederci, poi comprendere il prezzo da pagare per averla, con rinunce, compromessi, e occorre credere nella “cultura della Pace”, fatta soprattutto di rispetto degli altri. È necessaria un’ampia presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica, l’unica che può evitare l’aggravarsi della guerra. Più facile da noi, molto più difficile in Russia. La speranza è che si allarghi all’intera Europa, per contrastare ulteriormente le politiche sovraniste e populiste tanto di moda negli ultimi anni. Alcuni vorrebbero ora vestire i panni dei costruttori di pace quando invece nel recente passato, su iperboliche politiche sovraniste ed antieuropeiste, hanno stretto forti amicizie e patti economici proprio con Putin.
Sono ancora convinto che il progetto dell’Europa unità sia l’unica possibilità che abbiamo per ricercare e difendere la pace. L’Europa è un paese dove le differenze hanno trovato spazio, comprensione e valore. Un trattato di pace capace di garantire crescita sociale ed economica, dove culture diverse convivono nel rispetto delle differenze di lingue, religioni e storie. Tante sono state le azioni economiche e sociali che hanno promosso la consapevolezza di essere cittadini di un unico paese. Come la promozione dell’incontro con le iniziative Erasmus di mobilità per gli studenti, ora aperti anche al difuori dell’Europa. Tra i tanti progetti attivi nelle nostre università mi piacciono citare, per il valore simbolico che assumono in questo periodo, quelli dell’Università di Macerata con L’Istituto statale di Mosca per le relazioni internazionali (MGIMO) e con l’Università Nazionale Taras Ševčenko di Kiev. Due percorsi di laurea magistrale nel campo delle relazioni internazionali con interscambio di studenti tra due paesi che ora sono in guerra. È possibile superare i nazionalismi e le illusioni sovraniste, partendo dalla scuola, dall’istruzione, dalla cultura. Sono convinto che sia l’unica strada per ricercare la pace, la convivenza. Così l’ho sempre presentata ai miei studenti e così continuerò a fare. Le politiche sovraniste in queste settimane si sono sciolte come neve al sole, con la rinascita di un nuovo europeismo forte e determinato.
In questo periodo così turbolento qualche piccola “incomprensione” nel mondo universitario a cui appartengo c’è stata, e più in generale nel mondo della cultura, l’unica che invece ci può salvare dalla guerra. È stato ridicolo censurare il corso di Paolo Nori su Dostoevskij all’Università di Milano Bicocca, solo perché è un autore russo, facendo i dovuti rapporti, sarebbe stato come censurare Pablo Neruda in quanto cileno per contrastare la dittatura del generale Pinochet in Cile.
Marzo 7, 2022 3:00 pm
by
Sauro Longhi